L3: Comunicazione Marsupiale: Informazione e figure della Comunicazione in Architettura

 Nel 1956, Alvin Toffler pubblica la sua opera "La Terza Ondata", un’analisi delle trasformazioni sociali e culturali in atto, influenzata dalla rivoluzione tecnologica e dalla modernità. Questo contesto di cambiamento si riflette anche nell’evoluzione dell’architettura, in particolare attraverso il famoso concorso per la Sydney Opera House.
Il concorso si svolge negli anni '50 ed è vinto dall’architetto danese Jørn Utzon, il quale si distingue per la sua visione audace e innovativa. La sua proposta segna una rottura con le convenzioni dell'architettura moderna, in particolare per quanto riguarda la relazione tra forma e funzione. Utzon sostiene che la forma dell'edificio possa e debba liberarsi dalle tradizionali restrizioni funzionali, dando vita a una creatività architettonica senza precedenti.
Infatti la Sydney Opera House sembra una composizione di frammenti di gusci, disposti su un piedistallo che evoca l'immagine di gabbiani in volo. Questa scelta stilistica ha provocato un certo scalpore tra i modernisti, come Le Corbusier, Mies van der Rohe e Frank Lloyd Wright, che avevano difeso a lungo l’idea che la forma dovesse sempre essere subordinata alla funzione. Tuttavia, Utzon dimostra che una forma autonoma può esistere, capace di comunicare emozioni e significati attraverso la sua estetica.
La progettazione della Sydney Opera House ha dato vita a un nuovo tema fondamentale nell'architettura: la COMUNICAZIONE. La capacità di un edificio di esprimere idee, emozioni e valori va oltre la semplice funzionalità. Utzon ha mostrato che l’architettura può essere un mezzo di espressione culturale e sociale, capace di evocare risposte emotive e di integrare la storia e il contesto in cui è inserita.

L’opera di Utzon rappresenta un esempio emblematico di come l’architettura possa evolversi in risposta ai cambiamenti culturali e sociali. La rottura con i paradigmi modernisti ha aperto la strada a una nuova era di esplorazione formale e comunicativa nell’architettura, riflettendo i valori e le aspirazioni di un mondo in continua trasformazione. La Sydney Opera House non è solo un edificio iconico; è un simbolo di innovazione e libertà creativa che continua a ispirare architetti e artisti di tutto il mondo.

Figure retoriche

Le figure retoriche hanno storicamente ricoperto un ruolo fondamentale nelle arti poetiche, utilizzate per abbellire e arricchire il linguaggio. Esse permettono di esprimere concetti complessi in modi evocativi e suggestivi, rendendo il messaggio più profondo e memorabile. Tuttavia, nel contesto dell’architettura moderna, c'è stata una tendenza a ridurre o eliminare l’uso di tali figure, cercando di raggiungere una sorta di tautologia, dove forma e funzione si sovrappongono senza ulteriori ambiguità. Per questo citiamo la Sydney Opera House, in quanto creatrice di scalpore all'epoca.
Parallelamente, anche nel campo della pubblicità si è assistito a un ritorno delle figure retoriche, che si associano a una crescente soggettivizzazione del messaggio. I brand ora cercano di connettersi a un pubblico diversificato utilizzando metafore e simboli, dando vita a una narrazione più coinvolgente.

Citiamo un esempio trattato a lezione:
Guardando questa pubblicità notiamo e riconosciamo subito due simboli: il fuoco (passione) e una mela in mano (tentazione). Ma in un'attenta osservazione, ciò che attira di più lo sguardo sono due gambe piegate di una donna all’interno di una gonna chiara. E la borsa? È nera e lucida, posizionata in secondo piano.
Questa scelta visiva dimostra quanto la pubblicità moderna possa essere ipersoggettiva. Molti di noi, concentrandosi su dettagli che non riguardano direttamente il prodotto, non riescono a riconoscere il messaggio. Ci sentiamo estranei, quasi esclusi dall’acquisto, come se la borsa fosse fuori dalla nostra portata.
In questo modo, la pubblicità diventa una sfida comunicativa: l’iperpersonalizzazione può rendere difficile la decodificazione del messaggio. La borsa rimane invisibile, e la comunicazione si perde in un labirinto visivo.



Citando un altro esempio trattato a lezione:
In questa campagna, la figura che attira immediatamente l’attenzione è una donna con un copricapo esagerato e un trucco impeccabile. Ma, oltre alla macchina da scrivere – il vero soggetto della pubblicità – ciò che mi colpisce è la posizione delle sue mani.
Le due dita mignoli, sollevate in un gesto distintivo, sembrano richiamare la famosa opera di Michelangelo, La Creazione di Adamo. Questa scelta visiva non sembra affatto casuale; anzi, potrebbe rappresentare una potente metafora della materializzazione della differenza tra la vita terrestre e la sfera divina, che in questo caso potrebbe essere interpretata come la tecnologia. Nel 1935, quando questa pubblicità è stata realizzata, la tecnologia era spesso vista come qualcosa di distante e quasi sacro, in contrasto con il mondo quotidiano.
È affascinante notare come oggi, rispetto a quel periodo, il significato di questa immagine si sia trasformato. Piuttosto che enfatizzare una differenza tra il divino e il terreno, possiamo iniziare a parlare di una alleanza. La tecnologia non è più vista come un'entità estranea, ma come un alleato nella vita quotidiana, capace di migliorare e arricchire le nostre esperienze.


Il ritorno delle figure retoriche nell'architettura
Negli ultimi decenni, l'architettura ha visto un vero e proprio ritorno delle figure retoriche e della narrazione come strumenti di comunicazione. Alla fine degli anni '90, alcuni progetti iconici hanno dato nuova vita a questi concetti, trasformando gli edifici in racconti visivi e emozionali.
Prendiamo, ad esempio, il Museo Ebraico di Berlino progettato da Daniel Libeskind. La sua forma angolare e frammentaria non è solo estetica, ma racconta una storia profonda, quella della storia e della memoria ebraica. Allo stesso modo, il Guggenheim di Bilbao, firmato da Frank Gehry, ha rivoluzionato l’idea di museo, trasformandolo in un’opera d’arte in sé, capace di attrarre visitatori non solo per le esposizioni ma anche per la sua architettura audace.
E non possiamo dimenticare il Kiasma di Helsinki progettato da Steven Holl. Questo museo è un perfetto esempio di come le figure retoriche possano essere usate per raccontare storie. L’idea di un “intreccio dei nervi ottici” per rappresentare il processo creativo dell'architettura è davvero affascinante e rende l’esperienza di visitare l’edificio un viaggio emozionale (definizione di chiasmo).
Questi esempi segnano un cambio di paradigma nell'architettura, in cui il progetto diventa qualcosa di diverso. Non si tratta più solo di costruire spazi funzionali, ma di dare vita a esperienze e narrazioni. Questa soggettivizzazione dell’architettura ha portato a una maggiore attenzione verso le emozioni e le storie che un edificio può raccontare.

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